DIARIO – 2018.04.19
L’uomo della lettera dell’altro giorno, nella quale chiedeva aiuto per la moglie, neo-mamma di due gemelli, stasera ha un nome e un volto. È un uomo minuto che ho ben presente. Credo faccia il pescatore. So che vive in miseria. È arrivato con suo padre, un uomo degno, tutto di un pezzo. Alla lettera che mi aveva scritto il figlio, una fra tante, non avevo dato un gran peso, il che ha quasi determinato una tragedia.
Da Evena apprendiamo che la ragazza sta molto male. Marito e padre hanno fatto una disperata colletta nel villaggio per portarla in ospedale. Il padre si è indebitato. È stato visto piangere, chiedere aiuto, fra i poveri, 5 gourde (7eurocent) alla volta.
Ancora ieri, avevo perplessità sulla mossa di portarla in ospedale, perché ora abbiamo un medico nel villaggio, che non mi risultava essere stato consultato. Al marito chiedo: il dr. Jimmy l’ha visitata? Non comprendo bene la risposta, in creolo stretto. Chiamo Jimmy.
– Sì, la conosco. Ho visto la ragazza per la prima volta due giorni fa, martedì.
– È?
– La ragazza si è presentata in condizioni difficili. Era piena di edemi e liquido in tutto il corpo.
– …
– La ragazza non respira bene. Il liquido sta iniziando a entrare nei polmoni. Rischia di riempirli.
– …
– Sarebbe la fine.
– …
– La medicina più importante mancava. L’ho fatta cercare in moto a Anse-à-Gallet.
Fanno sessanta chilometri di piste. Proviamo a immaginare questa moto, pagata di tasca del medico, senza consultare nessuno, perché io ero a Port-au-Prince. Motociclista che affronta un viaggio di sei ore, si presenta nel piccolo ospedale dove lo aspettano, prende le fiale, fa il pieno, riprende la pista, incrociando le dita di non avere forature o guasti.
– Arrivata ieri la medicina, le ho fatto subito una inezione, che ho ripetuto anche oggi. Questa iniezione dorebbe ridurre la ritenzione idrica, rendendo la ragazza trasportabile.
– La ragazza non è trasportabile?
– Non nelle attuali condizioni.
Domando: da dove arriva questa situazione?
– La neo-mamma era incinta. Per nove mesi non ha visto un medico, un ginecologo, un ecografo.
– Sembra un classico da queste parti.
– È andata a partorire in ospedale a Miraguan, scelta inusuale in questa zona, e ancor più inusuale per una che non si è fatta vedere da un medico per nove mesi.
– …
– Ma in ogni modo. In ospedale le fanno un cesareo, scoprendo l’esistenza (oppure a causa dell’esistenza) di due gemelli.
La lettera in effetti parlava di gemelli. Mi rendo conto adesso che non era la solita lettera: non parlava di una casa crollata, di stomaci vuoti, parlava di una persona che stava male!
Accantono questi pensieri. Le colpe, dopo. Adesso c’è l’emergenza.
La ragazza è giunta a termine senza sapere che erano in due? Una madre riesce a contare due teste che premono?
– Dopo qualche giorno la ragazza è stata dimessa. Il decorso post cesareo non è andato bene. Si è sviluppata un’infezione, e non so che altro. La ragazza non è trasportabile ed è a rischio vita.
A questa affermazione segue un silenzio di piombo. Maledetto io che ho preso la lettera sottogamba!
– …
– …
– Jimmy, che si fa?
– Sarebbe meglio se andasse in ospedale, appena le iniezioni hanno avuto effetto. Fra due o tre giorni dovrebbe essere trasportabile.
– In che ospedale?
– Un ospedale … Miraguan, Tit Goave, Gran Goave … uno di questi.
– Saprebbero trattare il suo caso?
– Oppure, meglio, all’ospedale generale di Port-au-Prince.
– Conosci qualcuno?
– … no … però è l’ospedale generale.
– No. Non mi piace quel posto – interviene Evena.
– Jimmy, se la mandiamo lì, potrai seguire la situazione al telefono?
Jimmy si schermisce. Non si era posto il problema. In tutto il mondo i medici sono così. Hanno delle protezioni psichiche, indispensabili per mantenere uno sguardo obiettivo. Nessun paziente è davvero una persona. Non sempre lo è.
– Jimmy, facciamo finta che si parli di tua sorella.
– …
– Che faresti per tua sorella?
– Messa così .. ci sono le strutture private.
Messa così. Nella sua testa vediamo Jimmy rifare alla velocità della luce tutto il percorso, i ragionamenti.
– Ma costano.
– È tua sorella. Dove la portiamo.
– Io …
Così ho semplificato la vita a Jimmy. Per lui diventa semplice mettere in ordine la strategia giusta.
– La ragazza deve assolutamente andare in un ospedale privato.
– …
– Per non rischiare una sottovalutazione deve assolutamente arrivarci accompagnata da me stesso.
– Quanto durerà la degenza?
– La degenza durerà … da una a due settimane
– …
– … salvo la necessità di operare.
– Di che cifre si parla? Devo creare un budget.
Pagare una degenza. Prima o poi doveva succedere. Temevo questa evoluzione. Qui tutti vogliono andare in ospedale. Tutti chiedono i soldi per farlo.
Confortante la presenza del dr. Jimmy, il quale sa realmente discriminare fra le situazioni.
– Non posso dire. L’internista, il ginecologo, magari il chirurgo. Chi può dirlo adesso.
– Un letto in ospedale privato costa da 300 a 500 dollari haitiani, al giorno – ci informa Evena. Da ventitré a trentanove dollari americani.
Temevo mi dessero queste risposte. Meglio così. Altrimenti che siamo venuti a fare. In ogni caso non c’è scelta.
– Va bene, – concludo – procediamo. – È tutto?
– Anouch, ai bambini va acquistato e dato il latte in polvere 1-6 mesi.
– Ok.
– La mamma avrà bisogno di vestiti e altro.
– Mme Evena, ti occupi di tutto tu.
È la svolta. Lo comprende sia Evena, che mi conosce bene, sia Jimmy, che sta imparando a conoscermi.
Evena si rivolge a marito e padre. Ai due uomini spiega che la ragazza andrà in ospedale, accompagnata dal dr. Jimmy. GasMuHa si farà carico di tutto.
I due uomini ancora non sorridono. Immagino arrivino da giorni troppo drammatici per potersi vedere fuori dai guai in due minuti. Inoltre, non è detto che la ragazza ce la faccia.
Domando: qualcuno la accompagnerà in ospedale a Port-au-Prince? Dicono lui, il marito. I figli a chi saranno affidati? I due uomini si guardano, come se non ci avessero pensato, o come se la risposta fosse ovvia. Se comprendo bene, li affideranno a qualche donna del clan.
– In questi giorni abbiamo contratto un prestito con la banca. Abbiamo raggiunto il limite.
– Vedremo dopo. Ora pensate a lei e ai bambini.
La riunione è terminata. Mi sento in colpa per non aver preso sul serio la lettera. Trovo anche duro ammettere che nel normale ordine delle cose, qui al villaggio, la ragazza non avrebbe trovato cure come quelle che avrà, che forse le salveranno la vita. Sono disposto a qualunque gesto per aiutarla. Ma i gesti hanno un limite. In questi anni ho ascoltato infinite storie di missioni che hanno dovuto dire di no a richieste anche molto fondate e serie. Per lei, attingerò ai fondi destinati ai prossimi due acquedotti. Ci vorrà un’anima pia per ripristinarli.
C’è anche una questione prospettica. GasMuHa sta dando vita a un precedente non da poco: stiamo agendo da INPS per una specifica persona, il che significa che da domani avremo mezza isola alla porta, chiedendo aiuto per questo o quel malato. A qualcuno non potremo dire di no.
Tutto questo è accettabile? È eccessivo? Vivo qui in una discreta tensione. Devo stabilire un limite? Devo abbassare l’asticella?
Non ho mai cercato la tranquillità. Non inizierò adesso. Se il Signore chiede questo, lo seguirò come al solito, e vedremo in che mari sorprendenti ci porterà.
———————————-
Inizia il conto alla rovescia per il mio rientro in Italia. Resterò settimane, o mesi. Vediamo.
Intanto, il porto di Miraguan oggi è particolarmente pieno di persone, carriole, merci, voci, fragranze, chat, chicchirichì, speranze, bellezza. Non è importante che questo molo cada al di sotto degli standard occidentali di pulizia e sicurezza. La perfezione della pulizia ed estetica assolute non danno garanzia alcuna di trovare persone migliori, e non tombe imbiancate, belle di fuori e putride di dentro. Cosa è meglio allora?
Stanotte acqua a non finire. Magari ne scendesse così sull’isola! Invece siamo a inventare acrobazie normali per avere almeno un secchio di acqua dolce giornaliero per anima creata, acrobazie speciali per avere un metro cubo, al giorno, a ettaro, per irrigare le nostre campagne. Con cinquanta metri cubi giornalieri terminerebbe la fame, almeno da noi. Cinquanta metri cubi, sono il consumo di un condominio italiano.
Negli incontri di ieri è saltato fuori il numero di un ingegnere che può assisterci per realizzare in economia un sistema di desalinizzazione del Trou Divinor. Farebbe da pilota per progetti analoghi negli altri villaggi. Il costo per progetto è irrisorio, a confronto con l’opportunità, la speranza che porta.
A furia di ragionare in circolo su queste faccende, finirò per non riuscire a parlare d’altro.
———————————-
È uno dei parassiti del porto. Mi chiama Gas, da quando un giorno l’ho messo a segnare con un pennarello indelebile blu ogni oggetto di un carico con “GAS”, che sta per GasMuHa. Qui se non segni le cose, inavvertitamente spariscono. Lui lo trovo sempre sul wharf al mio arrivo. Deve avere trent’anni. Un ragazzo alto, ben costruito. Nessuna voglia di lavorare. Un tempo deve essere stato dotato di cervello. Si rende utile, senza fare nulla di specifico. C’è da trasportare? Lui chiama una brouette, una carriola. Non porta niente, lui. La brouette, che ero capace di chiamare per conto mio, gli dovrà qualcosa. Hai fame, Gas? Donna, presto! Prepara il riso al mio amico blanc! La donna, in seguito, senza che io veda, gli allungherà una coscia di pollo fritta.
Parla in continuazione. Probabilmente si considera classe dirigente. Mi è di aiuto, mi infastidisce. Più volte gli chiedo di tacere, di spostarsi dalla visuale. Non so come si chiami. In un certo senso siamo amici. O quantomeno siamo entrati in un rapporto duraturo. Dove lui in qualche modo mi copre le spalle, io in qualche modo prima di salpare lo retribuisco. L’ultima volta quello che gli ho dato non gli bastava. L’ha rifiutato. Mentre il flyboat si allontanava da riva, mi ha lanciato minacce di morte.
– Gas!
– Ehi mon ami.
– Come stai? Cheffai?
– Io bene.
C’è gente intorno ad ascoltare.
– La volta scorsa, mi hai minacciato di morte. Ti ricordi?
– Io! No, non è vero!
– Invece sì. Più volte.
– Gas, noi siamo amici, no?
– Sì siamo amici. Però tu adesso chiedi pubblicamente scusa.
– (Scusa..)
– Non hanno sentito bene. Più forte!
– Scusa!
———————————-
Fra le case che abbiamo costruito, quella di Idovi è la più piccola, ed è anche quella che amo di più. Sta lì, incastonata nel porto, appena rialzata, come una ragazza intenta in un’attesa. Idovi è un’anziana sola. Le abbiamo dato precedenza perché la sua casa era crollata. In diversi del clan del prete ci avevano sfidato sul suo caso.
Da quando abbiamo consegnato non ho più avuto modo di incontrarla, al punto di dubitare che fosse emigrata, domandarmi se sia stato giusto aiutarla.
Porta socchiusa. Mi affaccio. C’è. È in casa, nella semioscurità. È seduta in terra. Le due stanzette nuove le hanno dato modo di riprendere la vita interrotta, nella quale commerciava frutta e carbonella. Così il primo vano il pavimento è stato coperto da alcuni quintali di mango ancora verdi. Idovi li curerà, estraendo man mano quelli maturati. Li venderà alle marchande di passaggio.
Nella seconda c’è il suo giaciglio: una coperta in terra, ad ammorbidire il cemento, senza cuscino, ricoperta di un lenzuolo bianchissimo. Ho dormito per mesi così. Ci si abitua. Alla fine diventa comodo, al punto da disdegnare i materassi.
– Allora, Idovi. Ti piace la tua nuova casa?
– È bellissima, Anouch!
– Il tetto è stato chiuso bene?
– Sì.
– Sicura che non piove dentro?
– No Anouch, per niente!
Idovi ha occhi giovani, che guizzano. Mi ricorda mamma Clotilde.
– Vieni! Voglio darti un bel carico di mango!
– Aspetta. Scelgo io!
Sono grossi. Ne tasto e soppeso qualcuno.
– Prendo questo, questo …
– Prendine una borsa!
– Idovi, questi due bastano.
– …
– Ho fatto un buon affare. In cambio di una casa, non uno, ma due manghi!
Fosse necessario, ma non lo è, Idovi non potrebbe mai sdebitarsi. Il molo echeggia il ridere di noi due anziani, complici nello sforzo di sopravvivere.
———————————-
Janusz Gawronski, dall’isola della Gonave, Haiti