– Scusate, abbiamo una piccola panne – annuncia il marinaio Fanel.
TIra fuori una scatola di cartone piena di attrezzi abituati alla salsedine. Armeggiano in due sul motore destro del “flyboat”. Il mare ci dondola, pigramente.
Come spesso accade al villaggio, anche in barca mi accorgo di trovarmi in prossimità di svariate persone, delle tredici a bordo, persone con le quali è successo di condividere situazioni significative. Herby, giovane brillante elettronico della nostra comunità, che ha un solo chiodo fisso nella vita: “ha senso che io stia qui se posso aiutare”. Evena, con la quale ho avuto il privilegio di quella rapina un po’ violenta a Port-au-Prince. Cowboy, adorabile carattere di Port de Bonheur, gola profonda dello scandalo P., in attesa di deflagrazione fra undici giorni esatti. Mardi, il mio braccio destro, l’uomo che ha saputo sfidare i politici del villaggio, determinati a impedire ogni nostra realizzazione, salvo che transitasse per le loro tasche. Elira, gigante figlio del tuono, un bud spencer senza paura, in una comunità di impauriti, sempre a disposizione per menare le mani per una buona causa. Fanel e David, marinai dal cuore grande. Infine Astree, figlio di Luc, agente immobiliare a Port-au-Prince, che ci ha ceduto l’uso del pozzo di famiglia, ieri con noi per cercare di far ragionare la pompa.
Il flyboat riprende a correre. Riparo il cellulare dagli schizzi che ricominciano. Le relazioni usa e getta sono lontane, dolorose. Fanno un bel numero, qui, tutte queste persone: una maggioranza amata, in una piccola barca veloce, a cinquanta chilometri da Haiti.
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Nella capitale, capitalisti veri hanno costituito aziende modello, piccole isole felici nel marasma nucleare del popolo arretrato. Fa bene ogni tanto entrare luoghi con aria condizionata, magazzini ordinati, dove gente fiera ti riceve, contenta del tuo arrivo, protesa al raccolto della tua soddisfazione.
Ti raccontano tutto, anche quello che commercialmente potrebbero non dire. Ti danno il nome dei concorrenti. Non insistono perché tu decida, compri questo o quello. Non ti mettono fretta.
– Patrick, dove troviamo una macchina per fare il ghiaccio?
– Patrick, i tuoi tubi sono cari!
Patrick Fequiere non si scompone. Scuote la testa, per dire: ti ho sentito, lasciami vedere!
– Patrick, mi servono quattro metri cubi al giorno di acqua potabile, partendo da questa – dico mettendo una tanica sul tavolo.
– Ma! Non l’avete portata avvolta nel ghiaccio?
– …
– Quelli la vogliono appena raccolta, entro la giornata! Deve arrivare vicina a zero gradi.
– Patrick … lo sai da dove arrivo … dove lo trovavo il ghiaccio alla Gonave!
Patrick scuote nuovamente la testa, stavolta per dire che con quelli del laboratorio di stato non funzionerà. Lo guardo male.
– Patrick … non rompere. Se volete lavorare con noi, serve adattamento.
L’uomo scrolla le spalle, come a dire: d’accordo, lo dovevo dire, ora parliamo seriamente. È tarchiato, calvo, bianco all’incirca come me, sebbene haitiano, ma di origine libanese, non africana, sulla cinquantina, imprenditore di seconda generazione, asciutto, ruvido, faceto. L’uomo non lascerà il suo cliente senza la soddisfazione che si aspetta. Questo in nessun caso può accadere. Così emette un richiamo della foresta, indirizzato a uno dei garzoni. Al quale chiede di attuare la “solita procedura”. Il garzone poco più tardi ricompare con una bottiglia nuova. La riempie dalla tanica.
– Allora la metto in frigorifero, – chiede con umiltà, come fa uno schiavo, che chiede approvazione del proprio pensiero, pronto a smentirlo, qualora avesse equivocato, avendo interpretato la sua richiesta di intervento, espressa in termini succinti, perentori, pendendo dalle labbra del padrone.
– Solita procedura!, – ribadisce Patrick, cercando con una battuta di spostare la nostra attenzione, mentre io e Herby ci guardiamo, ridendo senza pudore.
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A parte la resurrezione, forse l’unico segno raccontato da tutti e quattro i vangeli è la moltiplicazione del cibo per cinquemila uomini, avvenuta in Galilea, non lontano dal lago di Tiberiade. In una terra dove manca tutto, io, come migliaia di altri, pretendo di vuotare il mare, riempire stomaci, a mani nude. Che fare? Farò così. Andrò da lui, a dirgli:
a) grazie per quello che fai per questa gente, e per me
b) ho gli ultimi dollari sul conto, come vogliamo procedere? Come li pago venti chilometri di tubi da Patrick?
Se non mi ascolterà per simpatia, lo farà per la mia insistenza. A Dio vanno tanti ringraziamenti e pochi sconti. Anche lui non manda via i figli senza soddisfarli. Anche lui dispone di una solita procedura.
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Janusz Gawronski, dall’isola della Gonave, Haiti