DIARIO – 2018.04.15
Oggi siamo su col generatore al pozzo. Aggiustare la pista ci serviva anzitutto per questo: portare su il generatore, attaccarlo alla vecchia pompa (della quale abbiamo pure dubbi sul voltaggio: tutto quello che abbiamo sono due fili elettrici contorti che escono dalle viscere della montagna), vedere come si comporta, quanta acqua esce, raccogliere un campione da analizzare.
Il generatore fa un bel baccano. L’acqua inizia a uscire. Prima un fiotto. Poi un getto pieno. Il getto è incostante. Aumenta, si riduce. Su e giù. Non capiamo. Problema di pompa, o di pozzo vuoto?
Oggi pomeriggio torniamo su con dieci uomini. Tiriamo su la vecchia pompa, la puliamo, vediamo come è messa, la rimettiamo dentro, riproviamo con il generatore. Ci vogliono dieci paia di braccia per farlo.
La scena di dieci persone che cercano di contribuire al sollevamento di un tubo, in fondo al quale, novanta metri sotto, sta appesa una pompa, è una scena un po’ comica, di mani che si sovrappongono, ingiurie che volano, tutti si esprimono, tutti hanno un’opinione. Lentamente il tubo sale. In fondo, una pompa piccolina, a fine carriera. Decidiamo di non metterla più nel pozzo. Resta lì. Aspettiamo la nuova Pedrollo trifase.
A lavoro praticamente ultimato, sopraggiunge un acquazzone robusto. Chi può, si ripara. Io finisco con Clemene e Herby sotto un albero cactus. Dopo qualche minuto siamo zuppi. Tanto vale incamminarci. Piovono gocce molto grandi: incredibilmente azzurre.
Poi Mardi e io andiamo a Source-a-Filip a concludere il negoziato con il pastore Francois e il suo inseparabile aiutante, Lamarre.
A Source-a-Filip ci attende una bellissima sorpresa. In seguito alla nostra iniziativa, un po’ folle, di mobilitare tre villaggi per sistemare la pista costiera, stamattina anche a Source-a-Filip c’e tutto il paese in azione, rifacendo la propria parte di pista, per non lasciar cadere lo sforzo comune. Con gli occhi catturiamo le scene oramai consuete di donne intente a sistemare pietre, uomini muscolosi, occhiali a specchio, spaccare massi con grosse mazze. Allego foto.
Il pastore e Lamarre accettano, in cambio di uno sconto, di smezzare l’acqua con Port de Bonheur, il nostro villaggio. È la svolta che auspicavo. Assicura più acqua per le nostre campagne, i nostri progetti. Se non riusciamo a scavare altri pozzi, cosa parecchio irta, perché si tratta di trovare gente disposta a scavare, a mano, fino a novanta metri, non è uno scherzo, ma se non riusciamo così, con questi due pozzi possiamo arrivare con le condotte a servire tutti i villaggi in un raggio di otto-dieci chilometri.
Alcune ore prima scrivevo: “sarà stanchezza, ma da giorni mi trovo a dover elencare gli obiettivi, le conseguenze dirette, i benefici dei progetti in corso, per non farmi prendere da un senso di inutilità generale”. Oggi guardavo questa ennesima scena di tante persone auto-organizzate, per tirarsi fuori dal sottosviluppo. Ancora una volta è stata la realtà, dietro la quale si trova Dio, a rispondere forte e chiaro: siamo sulla strada giusta.
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Frizioni e attriti nella squadra. Mardi ha fatto alle persone degli annunci non concordati. Evidentemente vuole fare a modo suo. Gli ho detto di chiamare una riunione, me presente, per rettificare. Odio che mi si mettano in bocca intenzioni e strategie non concordate. Ci manca solo che mi scoraggi qualcuno.
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Piccola trasferta. Domani prendiamo in quattro il flyboat per Miraguan. Mardi e Evena per acquisti: la dispensa è a secco, servono materiali. Io e Herby verso Port-au-Prince, dove ci aspetta una lunga lista di incontri con fornitori: per desalinizzare, sterilizzare, trattare, congelare, inscatolare acqua dolce. Ritireremo i nuovi inverter per le pompe, spediti per noi a caro prezzo dall’Italia. Vanno in sostituzione degli attuali, troppo delicati. Finalmente al villaggio l’acqua sovrabbonderà, potremo iniziare a realizzare i primi centri dell’acqua, con docce e toilette.
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È lunedì pomeriggio. Il dottore non si vede. Arriva l’ennesima giovane madre con bimbetto febbricitante. Inizia a girare la voce che c’è un medico, che siamo aperti. Arrivano, senza curarsi del giorno o dell’orario. Era quello che volevo. Dove si è cacciato il dr. Jimmy!
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Riunione fra Mardi e il sottoscritto. Gli spiego la strategia dei pozzi, la produzione di acqua trattata e ghiaccio. Ci lavoriamo a lungo. Mardi è entusiasta. Meglio così. In un mondo di zavorre, almeno internamente dobbiamo funzionare.
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Fervono i preparativi per la festa della parrocchia: Santa Maria Maddalena, ventidue luglio. Agenti del prete chiedono con insistenza l’uso del pick-up per trasportare una montagna di pietre dalla Plaine alla chiesa. A quanto pare la vogliono radere al suolo e rifare in tempo per la festa. Ho espresso la mia contrarietà.
– Mi avete chiesto una donazione per riparare la chiesa, vi ho dato duemila dollari.
– …
– Ora sento dire che volete rifare la chiesa dalle fondamenta, più grande. Perché? Riuscite a riempirla tre volte l’anno, per il resto è vuota!
– …
– Adesso volete anche il pick-up. Poi, che altro vorrete, per inseguire le manie di grandezza del prete?
È il prete, è la chiesa cattolica haitiana. I fedeli possono non avere un tetto sulla testa, ma il prete deve martellarli fino a convincerli che l’importante è avere una chiesa, una casa del prete, sempre più belle, sempre più grandi.
Nel 2016 il mare metodista era quasi riuscito a buttarla giù, sbattendo sui suoi muri, letteralmente a un passo dall’acqua, onde alte metri. Lo guardo di soppiatto. Al prossimo ciclone, ci siamo intesi.
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Janusz Gawronski, dall’isola della Gonave, Haiti