Ore 4.30. Stanco sì, però niente sonno. Musica in cuffia. Cosa c’è meglio della miglior musica? Solo il silenzio.
Esco a vedere che succede. Troppe luci intorno all’hotel. Stridono con il buio pesto del villaggio. Certe volte la luce fa male. Spengo. Meglio.
Vento. Nuvole, stelle, un mare-baratro. Neanche la più piccola luce, in nessuna direzione. A terra, concerto di grilli e volatili. Ogni tanto li sorprendo mentre bevono dal l’abbeveratoio. Questa notte i cani tacciono. Come cane, tacerei anche io qui. Di tutti gli animali del villaggio, il cane è il più dipendente, più di una capra, un gatto. Il cane ricorda uno schiavo. Soltanto che lo schiavo può ricevere dal padrone richieste intelligenti, dove è richiesta una sua elaborazione, esecuzione, dove una buona esecuzione può guadagnare allo schiavo la riconoscenza del padrone, ovvero un posto definito nella struttura delle responsabilità. Che sono l’essenziale: chi non ne ha, chi non ha un osso da riportare, si suicida. Invece un cane non serve a niente, non fa niente, è tollerato, è chiamato a vivere con un millesimo di questa potenziale gratifica. La sua schiavitù inizia con uno stomaco perennemente vuoto. Per questo il cane nasce vive e muore supplicando, con una attitudine così naturale che certi cani li si accetterebbe pure all’accademia d’arte drammatica.
L’umiliazione del cane della Gonave non conosce pause. Esso vive delle rare briciole cadute dalla tavola del padrone.
Ieri è arrivata la prima proposta di testamento in favore di questa gente. L’amico S., un salvatore, nomen omen. Ho riso, mi sono commosso, insieme. Sembra che vada per davvero dal notaio. S. mi ha mostrato il suo piccolo pensiero, in crescita, che lui forse crede essere suo, di porsi il problema di come stanno gli altri. Logica pericolosa: inizi col dare qualcosa, finisci col volerti disfare di tutto. Così è successo a me.
Mi sono ricordato che sono due le cose che i cani di qua non fanno mai: la cagnara, e attaccare una gallina. Nonostante l’abbondanza di cani, nonostante la fame di questi, le moltissime galline circolano ovunque indisturbate. Questo è un comportamento indotto: ricordo ancora il ciocco di legno che è atterrato su Geronimo la volta che ha placcato un pulcino. Ha zoppicato una settimana. Non l’ha più fatto. Ma la cagnara? Quali cani al mondo, a parte questi, scampano al richiamo di ululare lungamente, ascoltando e rispondendo, fra cani, dalla distanza, le notti? Che siano talmente umiliati da non osare? Programmati per non interrompere il riposo del padrone?
Quasi l’alba. Mi sovviene mia madre. Che non vedrà mai in vita questo paradiso. Avrei tanto voluto! Le ho fatto dei racconti. È curiosa dei dettagli. Ho una madre molto molto intelligente.
Rientro. Controllo le batterie. 24.9V: bene.
È strano essere sempre fisicamente solo. Ogni tanto mi chiedo se esiste un solo uomo fatto per questo. I preti magari. Eunuchismi autoinflitti.
È bello avere la famiglia, gli amici che ho. Pur lontani. Merito tanto?Dove bisogna nasconderla, perché non sia rubata, la chiave dell’accoglienza per sempre?
È anche bellissimo incontrare ogni giorno gente che mi usa, per la quale Anouch è un mezzo. Alcuni lo fanno con innocenza, è nei ruoli. Tuttavia altri morderebbero la mia mano, mentre la allungo verso di loro. Sono in tanti! Sono anche ingenui. Con questi mi sento a mio agio: gli ipocriti. È più facile amarli di tutti. Sono gli umani portatori della disabilità più grave.
Oggi mando la squadra da sola. Voglio vedere come se la cavano. Se la prenderanno comoda? Se avanzano al cinquanta percento della velocità di ieri, mi dichiaro soddisfatto.
Esiste una solitudine haitiana. Invecchi senza carezze, specchi per avvisarti che deperisci. Come Prufrock: “Let us go then, you and I, through half deserted streets …”
Apro la Bibbia. Meglio. Giairo. Giairo è stato settimane al giaciglio della figlioletta agonizzante. Mmm …